Il dolore rotuleo (o disallineamento
dell'apparato estensore, o strabismo rotuleo) è una sindrome dolorosa provocata
da un difettoso scorrimento della rotula nel proprio solco, la
troclea femorale.
La rotula è un anello fondamentale della catena
muscolo-tendinea che rende possibile l'estensione del ginocchio
(e quindi la deambulazione, la stazione eretta, e la quasi totalità delle nostre
attività motorie). In questa catena, la rotula è compresa tra il muscolo
quadricipite (il principale muscolo della coscia) e il tendine rotuleo, che,
inserendosi sulla tibia a livello dell'apofisi tibiale anteriore, pemette di
trasformare la contrazione del muscolo in estensione del ginocchio.
Per poter scorrere liberamente, la rotula
possiede un "binario" scavato nella parte terminale del femore, la troclea.
L'articolazione deputata a questo scorrimento è l'articolazione
femoro-rotulea, che è parte integrante del ginocchio di cui costituisce
uno dei tre compartimenti.
Come si vede nell'illustrazione sottostante, dove
tendini e muscoli sono stati disegnati su di una radiografia laterale del
ginocchio, la rotula scorre sulla troclea ogni volta che il ginocchio si flette
o si estende.
Il dolore rotuleo è un'affezione estremamente
comune, che colpisce in prevalenza il sesso femminile in età
giovanile e giovane-adulta.
Le cause di dolore rotuleo sono molteplici, ma
tutte determinano un incongruenza tra il percorso seguito dalla rotula e quello
tracciato dalla troclea femorale.
In particolare le più frequenti cause sono il
ginocchio valgo (perchè la troclea si trova
angolata rispetto all'apofisi tibiale anteriore) i vizi
torsionali del femore o della tibia (perchè la troclea si trova ruotata
all'interno rispetto all'apofisi tibiale anteriore), un muscolo
quadricipite displasico (perchè traziona la rotula non lungo l'asse, ma
in modo asimmetrico verso l'esterno) o una rotula alta (perchè
non può sfruttare la "guida" della troclea).
Il dolore rotuleo è un dolore
subdolo, spesso solo un fastidio, che si manifesta in prevalenza quando
il paziente è costretto a rimanere a lungo seduto, con le ginocchia flesse.
Anche la discesa delle scale può essere dolorosa, mentre difficilmente si
avvertono disturbi nella camminata in piano.
Il dolore è tipicamente
anteriore, tutto attorno alla rotula.
A seconda del grado di disallineamento tra
percorso rotuleo e guida trocleare è possibile individuare quattro livelli di
gravità crescente:
I) iperpressione esterna: la
rotula è centrata nella gola della troclea, ma esercita un'eccessiva pressione
sulla parete laterale;
II) sublussazione: la rotula, ai
primi gradi di flessione, si lateralizza rispetto alla gola trocleare, per
rientrarvi solo in completa flessione;
III) lussazione
ricorrente/abituale: la rotula abbandona completamente il proprio
solco, dislocandosi verso l'esterno durante la flessione (episodicamente o
costantemente).
IV) lussazione cronica: la
rotula rimane permanentemente dislocata verso l'esterno, lasciando disabitata la
troclea. In genere è una malformazione congenita.
Qualsiasi condizione in cui la meccanica
articolare sia alterata espone al rischio di sviluppare un'artrosi,
nella fattispecie un'artrosi femoro-rotulea.
Bisogna tuttavia sottolineare che l'entità
dell'alterazione condiziona la probabilità della degenerazione: quindi
un'iperpressione semplice ha scarse possibilità di tradursi in artrosi precoce,
mentre una sublussazione corre un rischio molto maggiore .
La diagnosi di sindrome rotulea è
squisitamente clinica, cioè fatta dallo specialista durante la
visita. Le radiografie servono a confermare la diagnosi e a permettere una
stadiazione di gravità. La radiografia nelle proiezioni assiali di
rotula (a 30° e 60° di flessione), in aggiunta alle proiezioni standard
del ginocchio, permette di esaminare, a diversi gradi di flessione, la posizione
della rotula rispetto al solco trocleare.
Nell'esempio seguente si osserva un quadro di
iperpressione esterna in entrambe le ginocchia:
Solo a quei pazienti cui si prospetti un
intervento chirurgico l'ortopedico potrà richiedere ulteriori indagini, che
permettano di pianificare al meglio la procedura: in genere una teleradiografia
in carico (ovvero una lastra lunga che comprende la totalità degli arti
inferiori) ed eventualmente uno studio torsionale TAC degli arti inferiori.
La maggior parte delle sindromi rotulee trova
beneficio nel trattamento riabilitativo. Questo deve tendere al
potenziamento selettivo di quella parte del muscolo quadricipite (vasto mediale)
che permette di correggere il cattivo scorrimento, mentre deve mirare
all'allungamento altrettanto selettivo di quella parte che contribuisce al
cattivo scorrimento (vasto laterale). Solo un programma specifico può
ottemperare a questi criteri. L'adozione di una ginocchiera di stabilizzazione
rotulea, infine, può rivelarsi utile nella pratica sportiva.
I casi refrattari alle cure kinesiterapiche sono
candidati a terapia chirurgica, purchè il disturbo sia
significativo e/o il disallineamento sia grave al punto da far prevedere
un'artrosi precoce. Non esiste un trattamento univoco, poichè la scelta della
procedura dipende essenzialmente dalla causa del disallineamento: se la causa è
il ginocchio valgo, si eseguirà
un'osteotomia correttiva; se la causa è vizio torsionale si
eseguirà una trasposizione dell'apofisi tibiale anteriore o,
nei casi più severi, un'osteotomia derotativa; se la causa è una displasia
quadricipitale, si eseguirà una plastica del
quadricipite...
Infine, se il disallineamento ha già condotto ad
un'artrosi femoro-rotulea importante, è possibile impiantare, in casi molto
selezionati, una protesi femoro-rotulea.
La terapia farmacologica è
essenzialmente palliativa e dovrebbe essere impiegata saltuariamente nei momenti
di maggiore acuzie, ad es. dopo una prestazione sportiva.
La categoria farmacologia fondamentale è rappresentata dagli antiinfiammatori/antidolorifici. |
4 maggio 2012
Dolore rotuleo - Ginocchio Femoro-rotulea
Tendinite rotulea - Ginocchio
Il tendine
rotuleo è il robusto tendine terminale del maggior muscolo della
coscia, il quadricipite. E' teso tra la rotula e l'apofisi tibiale anteriore,
protuberanza che si può palpare con facilità circa 4 dita trasverse al di sotto
della rotula, sulla faccia anteriore della gamba.
La tendinite è una malattia infiammatoria che
colpisce il tendine, ovvero la parte terminale di un muscolo, laddove questo si
inserisce sull'osso.
La tendinite rotulea fa in parte eccezione a
questa definizione, perchè le alterazioni degenerative prevalgono su quelle
infiammatorie: è infatti caratterizzata da micro-rotture che
avvengono nel contesto del tendine, soprattutto in prossimità della sua origine
dalla rotula. La definizione di tendinopatia rotulea sarebbe dunque più
appropriata.
Le tendiniti rotulee sono perlopiù appannaggio
dei giovani sportivi, nei quali esse si configurano come
overuse syndromes, ovvero patologie da sovraccarico.
Questa malattia è anche nota come
"ginocchio del saltatore" perchè spesso legata all'attività del
salto. Giocatori di basket e volley ne sono frequentemente colpiti, soprattutto
quando presentino una condizione anatomica nota come "rotula alta" o un
mallallineamento del ginocchio (varo o
valgo).
La tendinite rotulea si manifesta con un
dolore anteriore nell'area del tendine rotuleo. Il disturbo
compare in principio solo durante l'allenamento, per recedere poi nelle ore
successive. Con il tempo esso può cronicizzare, esacerbandosi ogniqualvolta il
paziente salti o si pieghi sulle ginocchia (squat).
La diagnosi di tendinite è esclusivamente
clinica. A conferma di un preciso sopetto clinico, lo specialista può richiedere
un'ecografia, che dimostrerà le caratteristiche lesioni
tendinee (rotture, cisti, calcificazioni).
La tendinite, se trascurata,
può condurre a lesioni più gravi?
La tendinite rotulea, essendo una malattia che
coinvolge direttamente il tessuto tendineo, può favorire - se trascurata - un
evento particolarmente sfavorevole, la rottura del tendine
rotuleo, che richiede sempre una ricostruzione chirurgica.
Tutte le tendiniti si giovano in fase acuta della
sospensione dell'attività fisica per alcune settimane,
dell'assunzione di farmaci anti-infiammatori e
dell'applicazione di una borsa del ghiaccio a periodi
alterni.
Quando questi presidi non siano sufficienti a
garantire la duratura risoluzione del disturbo, bisogna ricorrere a
programmi riabilitativi specifici, quali lo stretching del
quadricipite (così da diminuire la tensione del tendine stesso). Terapie
fisiche quali gli ultrasuoni, la laserterapia e la ionoforesi possono
coadiuvare il processo di guarigione.
Eccezionalmente le tendiniti richiedono un
trattamento chirurgico.
http://malattie-sorprese.blogspot.it/2012/05/tendinite-rotulea-ginocchio.html |
Lesioni dei legamenti crociati - Ginocchio
I legamenti crociati sono i principali responsabili della stabilità del ginocchio. Essi sono tesi tra il femore e la tibia e decorrono all'interno dell'articolazione. Prendono il nome di "crociati" perchè si incrociano al centro dell'articolazione.
I legamenti crociati anteriore e posteriore impediscono lo spostamento rispettivamente anteriore o posteriore della tibia rispetto al femore. Nel disegno sottostante si può osservare come un legamento crociato anteriore (l.c.a.) integro impedisca alla tibia di traslare in avanti. Non così un legamento rotto.
I crociati si rompono essenzialmente per traumi di tipo distorsivo. Il legamento crociato anteriore è più esposto al rischio di lesione.
Spesso la rottura di un crociato si accompagna anche a lesione dei legamenti collaterali e dei menischi, costituendo così solo un elemento di un danno capsulo-menisco-legamentoso complesso.
Trattandosi di un tipico infortunio sportivo (calcio, sci...) , i soggetti più a rischio sono giovani e giovani-adulti attivi.
In acuto la rottura di un legamento crociato si presenta di solito con un importante emartro, cioè un versamento di sangue che distende l'articolazione. Dolore ed impotenza funzionale dipendono sì dalla rottura legamentosa, ma anche dalle eventuali lesioni associate.
Risolta la sintomatologia acuta in 2-3 settimane, se non vi sono lesioni associate, il paziente recupera buona parte della funzione articolare, ma residua quasi sempre una sensazione di instabilità che impedisce la pratica sportiva, soprattutto di quelle discipline che richiedono rapidi cambi di direzione o la corsa su terreni sconnessi.
La diagnosi di lesione dei legamenti crociati è prettamente clinica. A conferma di un preciso sospetto clinico, lo specialista richiederà una risonanza magnetica, che dimostrerà l'interruzione parziale o totale dei fasci legamentosi e le eventuali lesioni associate.E' preferibile evitare di eseguire l'esame quando il ginocchio è tumefatto, perchè le immagini risulterebbero meno significative: quindi o lo si esegue subito dopo il trauma, oppure è bene attendere la risoluzione della tumefazione.
Il legamento crociato posteriore, che è ben vascolarizzato, può cicatrizzare, purché non venga sollecitato per alcune settimane. Non può guarire, invece, il crociato anteriore, perché la sua vascolarizzazione è insufficiente a sostenere i processi riparativi. Una volta rotto, degenera irreversibilmente.
Dal momento che il crociato posteriore (l.c.p.) può guarire spontaneamente, è importante che il trattamento d'urgenza del ginocchio traumatizzato sia idoneo: un'immobilizzazione in estensione per 5-6 settimane è necessaria a ottenere la cicatrizzazione del legamento (che in estensione è deteso). Successivamente si inizierà un programma riabilitativo per il recupero dell'articolarità. Solo in caso di persistente lassità posteriore sintomatica (spesso determinata da un tardivo riconoscimento della lesione), si ricorre alla ricostruzione chirurgica.
Il crociato anteriore, non avendo possibilità di guarigione, non richiede provvedimenti specifici in urgenza: è sufficiente immobilizzare il ginocchio per alcuni giorni, fino alla diminuzione del versamento e del dolore, quindi è possibile riprendere gradualmente una vita normale. Quando l'emartro sia importante, lo specialista potrà decidere di pungere l'articolazione per evacuare la raccolta di sangue (artrocentesi) e ridurre i sintomi. Un programma riabilitativo finalizzato al potenziamento del quadricipite è fondamentale per restituire stabilità al ginocchio, vicariando in parte la funzione del legamento lesionato.
Pazienti giovani o con esigenze sportive trovano nella chirurgia artroscopica ricostruttiva un trattamento specifico in grado di sostituire il legamento danneggiato con un innesto tendineo (prelevato in genere dallo stesso ginocchio, in particolare dalla zampa d'oca o dal tendine rotuleo). Sebbene i dati siano controversi, è ragionevole pensare che il trattamento chirurgico, ripristinando la "normalità" articolare, possa evitare una degenerazione artrosica precoce. Per questa ragione è oggi una procedura altamente raccomandata al di sotto dei 40 anni di età. Oltre questa soglia, la decisione dipende essenzialmente dal livello di attività sportiva del paziente, che, se sedentario, può convivere senza particolari disturbi con i postumi di questa lesione.
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Lesioni dei legamenti crociati
Lesioni meniscali - Ginocchio RMN lesione menisco
I menischi sono fibrocartilagini
a forma di semianello che si interpongono tra i condili femorali e i piatti tibiali. Ve ne
sono due in ogni ginocchio, quello mediale (o interno) e quello laterale (o
esterno).
L'immagine seguente rappresenta una sezione
trasversale del ginocchio osservata dall'alto, in cui riconosciamo l'estremità
superiore della tibia (piatti tibiali), i principali legamenti e i due menischi.
Mentre il menisco mediale ha una
caratteristica forma a "C", quello laterale, più chiuso su se stesso, assomiglia
ad una lettera "O". Entrambi hanno un margine libero rivolto verso il centro del
ginocchio ed un bordo vincolato alla capsula articolare rivolto verso la
periferia. Topograficamente, è utile distinguere in ciascun menisco un corno
anteriore, un corpo ed un corpo posteriore:
I menischi hanno molteplici funzioni:
innanzitutto aumentano la congruenza tra i condili femorali
(convessi) e i piatti tibiali (sostanzialmente piani),
distribuendo così il carico in modo uniforme su tutta la superficie articolare;
partecipano alla stabilità del ginocchio in modo sinergico con
il legamenti; migliorano la distribuzione del liquido sinoviale sulla
cartilagine articolare, facilitandone così la nutrizione.
Si comprende dunque come la rimozione completa di
un menisco possa provocare, nel lungo periodo, una degenerazione artrosica precoce.
I menischi si fratturano solitamente per traumi
di tipo distorsivo. Una violenta rotazione del femore sulla
tibia (che è vincolata a terra) a ginocchio semiflesso è il meccanismo
traumatico più comune. In questo caso la rima di frattura è netta e può essere
descritta in base alla sua localizzazione (corno anteriore, corpo, corno
posteriore) e al suo decorso:
Mentre le rime radiali sono sostanzialmente
benigne, quelle longitudinali e quelle a flap, se sufficientemente estese,
possono provocare la lussazione della porzione peduncolata di menisco. Questo si
traduce, sul piano clinico, nel blocco dell'articolazione. Il rischio di
lussazione è massimo in presenza di una lunga lesione longitudinale, che stacca
un'ansa meniscale che, per la sua forma, viene detta "manico di secchio".
A volte il menisco non si frattura, ma si
"sfrangia" in conseguenza dell'usura. Questa condizione,
correttamente definita meniscopatia degenerativa, non è una rottura meniscale
propriamente detta, ma una sorta di "anticamera" dell'artrosi. Il più delle
volte in questi casi il paziente nemmeno ricorda un evento traumatico.
La rottura meniscale, essendo un tipico
infortunio sportivo (calcio, sci...) , interessa
prevalentemente giovani e giovani-adulti attivi, specialmente se praticanti
sport di contatto.
Al contrario la meniscopatia degenerativa è una
patologia tipica dell'età adulta e senile.
Sia per cause traumatiche, sia per cause
degenerative, il menisco più spesso interessato è quello
mediale: nel primo caso, perché è quello più vincolato, e
quindi meno capace di adattarsi a sollecitazioni improvvise; nel secondo caso, perché è quello sottoposto a maggior carico.
In acuto la rottura di un
menisco si presenta di solito con dolore, impotenza funzionale e un
versamento (gonfiore) che cresce nell'arco di alcune ore. Se la frattura ha
dislocato una porzione di menisco che ostacola il movimento, il ginocchio può
sviluppare un blocco articolare, che, se non si risolve
spontaneamente entro qualche ora, richiede un trattamento chirurgico urgente. In
assenza di frammenti lussati e dunque di blocchi meniscali, i disturbi vanno
gradualmente scemando entro 2-3 settimane, ma vengono solitamente risvegliati
quando la porzione lesionata del menisco viene sollecitata (es. la flessione
massima provoca dolore in presenza di una lesione del corno posteriore del
menisco mediale).
La meniscopatia degenerativa, al
contrario, comporta di solito una sintomatologia subdola, con dolore dopo
affaticamento e in massima flessione. Raramente si osserva un versamento
significativo. Spesso i disturbi ricalcano quelli di una gonartrosi incipiente.
La diagnosi di lesione meniscale è innanzitutto
clinica. A conferma di un preciso sospetto clinico, lo specialista richiederà una
risonanza magnetica, che costituisce l'esame più accurato per
lo studio dei menischi.
Il menisco è una struttura quasi completamente
avascolare, cioè privo di vasi sanguigni, con la sola eccezione del margine
periferico che si inserisce sulla capsula articolare. Questa situazione spiega perché il menisco non sia capace di processi riparativi. Una lesione meniscale,
in pratica, non può guarire.
Le fratture meniscali
propriamente dette, ovvero quelle determinate da un trauma acuto su di un
ginocchio in precedenza normale, meritano solitamente un trattamento chirurgico.
Fanno eccezione alcune lesioni radiali perfettamente stabili che, superata la
fase acuta della distorsione, non lasciano disturbi residui.
Il trattamento chirurgico è oggi
prettamente artroscopico, e non comporta mai la
rimozione completa del menisco (praticata in passato, con note conseguenze quali
l'artrosi precoce), bensì la sua
regolarizzazione (meniscectomia selettiva). Solo i frammenti instabili del
menisco vengono asportati, mentre il tessuto sano viene scrupolosamente
preservato.
In casi estremamente selezionati, ovvero rotture
periferiche recentissime in soggetti giovani, è possibile eseguire la sutura
della lesione, poiché la zona periferica del menisco è l'unica vascolarizzata e
quindi capace di risposta riparativa. La protezione dal carico per 4-6 settimane
e la successiva riabilitazione rendono inadatta questa metodica a pazienti che
non siano fortemente motivati e collaboranti.
La meniscopatia degenerativa non
richiede solitamente alcun trattamento chirurgico, che potrebbe anzi rivelarsi
controproducente. La viscosupplementazione locale offre al contrario un notevole
beneficio. Questa terapia, di competenza prettamente specialistica, viene
eseguita mediante una serie di 3-4 infiltrazioni endoarticolari di preparati a
base di acido jaluronico. La finalità della viscosupplementazione è il
miglioramento della lubrificazione del ginocchio e del trofismo delle
cartilagini.
La terapia farmacologica è essenzialmente palliativa e dovrebbe
essere impiegata, in modo possibilmente ciclico e non continuativo, per
alleviare i disturbi nel paziente non candidato a terapia chirurgica. La
categoria farmacologica fondamentale è rappresentata dagli
antiinfiammatori/antidolorifici, mentre alcuni integratori dedicati (preparati a
base di glucosamine e composti analoghi) potrebbero avere un effetto benefico
nel rallentare la degenerazione del tessuto cartilagineo, ma non vi sono ancora
di studi adeguati che confermino questa ipotesi.
Nelle forme caratterizzate da una significativa
deviazione assiale (ginocchio varo o valgo) e da iniziale sofferenza della
cartilagine articolare, è possibile eseguire interventi correttivi (osteotomie)
che, riallineando l'arto, arrestino o rallentino le alterazioni degenerative.
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